Gli erbari drammatici e capovolti di Agostino Perrini

Agostino Perrini disegna erbe e fiori, con colori e modi che riconosco perché di Perrini ho fatto mostre. Tiene studio nella città antica. Anzi antichissima, la Brescia Romana dei vicoli e del Tempio di Vespasiano Augusto, del teatro en plein air, di Santa Giulia dove è sepolta Ermengarda, senza che nessuno sappia esattamente dove. Agostino Perrini dipinge erbe e fiori, un tema caro alla pittura come le marine, i paesaggi, le donne nude, difficile non pensare a Mario Mafai e ai suoi fiori secchi. Ma Perrini non dipinge mazzi come Mafai, no, lui disegna magre, aride erbe della memoria, non lavora en plein air ma cita ricordi ad occhi chiusi. Pare che dipinga con la sinistra non essendo mancino, per caricare le opere di una diversa sofferenza.
Le erbe di Perrini soffrono la sete, il caldo, forse anche il freddo. Sono erbari inventati, fantasmatici, recisi alla radice, erbari fatti di piccoli alberi, intravisti come in una nebbia, fiori che bruciano, ma sono fiori freschi, quindi non fanno fiamme, ma nemmeno cenere. Ma allora cosa fanno i fiori di Agostino? Se ne stanno lì buoni e aspettano: ci aspettano al varco. Alcuni fiori sono secchi, altri invece sono sexy. «Vulva officinalis» recita un titolo. E poi in quell’«erbario capovolto» col delta di Venere lassù in alto e un’erba che scende come due gambe con le cosce che si toccano. Le gambe hanno dei fuseaux, pantaloni attillati, che mettono in evidenza le forme. Il fiore ha una forma a V, ma la scritta è capovolta davvero. Provo a girarlo. Ma è un vaso di Venini...!
Insomma Agostino si diverte (come può) data la sua attuale condizione e ci porge erbe e fiori secchi, come venissero dalle pagine di un libro. Fiori della memoria, decorativi ma trattenuti, non rutilanti come gli affreschi di Gentile da Fabriano che Pandolfo Malatesta III conquistata Brescia, chiede ed ottiene dall’ultimo grande pittore del Gotico fiorito (a proposito...).
A Brescia nasce suo figlio, Sigismondo Pandolfo, uomo modernissimo rispetto al padre. Infatti lui sceglierà Leon Battista Alberti e Piero della Francesca per il proprio mausoleo. I due giganti che fondano, letteralmente, la prospettiva centrale, dandole anche basi teoriche saldissime. Brescia è una curiosa città, potentissima economicamente e debole sul piano artistico, forse perché dominata da sempre: Celti, Romani, Longobardi, Milanesi, Malatesta, Francesi, Venezia, Austria... senza una corte propria a fare da sprone e committente.
Un città dove i pittori d’oggi hanno il compito di costruire quel tessuto artistico che ci è mancato. Non dipingiamo più battaglie campali o giudizi universali. Creiamo mazzi di fiori, a volte singoli, a volte secchi, per cercare di capire il microcosmo a noi vicino, che ci confermi che esiste là fuori, oltre il moderno «finis Africae» che tentiamo di varcare con scienza e fantasia. Brescia, grande città di provincia, cerca in questa direzione, unendo la ricerca alla creatività di artisti come Agostino Perrini che dal particolare tentano di risalire al generale, che ancora - e di più in più - ci sfugge.

Massimo Minini, 2016