Al primo piano
Ken Damy Studio, Brescia, Gennaio 1988

Agostino Perrini

che dire, che fare, che baciare, che lettera; che testamento pittorico sono i dipinti, quelli antichi con il tema del sacro, quelli d’oggi, quando sono astratti, con i loro richiami all’invenzione dello spazio, dell’infinito quindi, e quindi ancora in qualche modo trascendenti una realtà nota, in cerca di emozioni, sensazioni, luoghi, territori, più che inconsueti, ignoti. parlare accanto ai dipinti è meglio che parlargli addosso, si evita di ricoprirli di una coltre verbosa, si evitano gli sputacchi. che dire quindi stando accanto ad un’opera di Agostino Perrini? forse solo e prima di tutto un’affermazione semplice e diretta: questa opera mi piace e partecipo attivamente e piacevolmente delle sue emanazioni, acconsento al suo instabile equilibrio, alle tensioni in essa accennate, mi lascio trasportare e dondolare sui fili tesi tra i lati del dipinto come un equilibrista in piazza del duomo cammina sul filo aereo, tenendo in mano due forme piatte alla estremità di una barra (due piccoli Arp? due grandi Calder? geometrie di Licini?). opere con un movimento accennato e subito bloccato, memori di precedenti rapporti con sculture che stavano loro dinnanzi, ora calcinate direttamente sulla superficie dell'opera come avvenne ad Ercolano, dopo l’eruzione ma senza la drammaticità dell’evento. già ho tradito l’assunto di non parlare addosso, di non aggiungere pesi alla levità dell’opera; meglio tacere. terminare questa lettera, affinchè non diventi un testamento.

Massimo Minini