Risonanti figure
Galleria Spatia, Bolzano / Galleria Multigraphic, Venezia, 2000
Dopo aver esordito nellambito di una vitalissima, ma sapiente espressività tutta contesta di sottili riferimenti a una oggettualità elusiva e
sfuggente, ma in grado di costituire uno stimolante punto di partenza per indagare i misteriosi segreti della vita e linsondabile fluire del tempo, Agostino
Perrini è venuto sempre più concentrando la propria attenzione sulla densità e consistenza delle segrete energie del colore. Nel corso di una
progressiva eliminazione di ogni sovrabbondanza linguistico-referenziale. La spirituale riccheza del blu è così diventata il fondamento di sensibili,
misteriosi sconvolgimenti nella stessa conformazione dellopera, la cui superficie è venuta infatti piegandosi, inarcandosi, flettendosi per trasformarsi,
pur mantenendo intatte le proprie facoltà e prerogative virtuali, in uno spazio complesso e pluridimensionale.
Puntando come a consolidare la pittura conferendole una particolare, plastica consistenza, Perrini è giunto però a metterne in questione gli stessi
caratteri essenziali. Le condizioni della luce e dellambientazione delle immagini non appaiono più completamente interne allopera, la cui parvenza
sembra infatti, per taluni aspetti, aprirsi fenomenicamente allambiente in un sottile intreccio di nuove situazioni.
A questo punto, con significativa coerenza, Perrini ha approfondito le questioni che erano così venute emergendo, superando la stessa opacità del
supporto. Egli utilizza a tale scopo la trasparenza della lastra di vetro, sulla quale, intervenendo con la mola a smeriglio, tramite penetranti abrasioni e
impercettibili assottigliamenti riesce a far intravvedere impalpabili delineazioni, sospese forme, aloni, sfumature. Si apre così un gioco di sottili equilibri,
di tensioni, di segreti rapporti.
Limmagine acquista infatti un interno dinamismo nell#146;imprevedibile relazione tra licona e il suo umbratile doppio diversamente proiettato e
determinato sulla parete dai possibili differenti posizionamenti delle fonti luminose. La superficie si lascia trapassare, consentendo di esplorarne
limpossibile interno.
La magica virtualità della pittura viene come svelata e lopera riportata a una sua seppur imponderabile oggettualità, alla semplice, condizionata
consistenza di un ente tra gli enti. Eppure proprio questa disponibilità e apertura, questa condivisione delle eventualità dellesistere
conferiscono a questi impercettibili e quasi immateriali interventi, a tali apparentemente frammentarie risonanze di una comune esperienza, la capacità di
lanciare sempre nuovi appelli, di costruire articolate stratificazioni permeabili allo sguardo, di sedimentare insinuanti universi di signifcato e di suscitare
sempre nuovi percorsi interpretativi.
Dino Marangon, 2000