Perrini, lucidità e poesia
Exsiccata, Galleria Civica Cavour, Padova
Quelle che costituiscono lultima monografia e la mostra a Padova di Agostino Perrini sono opere recenti, la maggior parte elaborate tra il
2015 e il 2016; solo alcune pagine sono datate tra il 2012 e il 2014 – e, in queste, il percorso che ne costituisce il senso
e dà figura al titolo (Exsiccata), appare come un inizio appena accennato, segni che solo alla fine si distendono con
unautonomia linguistica che ha pochi esempi nelle ricerche recenti. Agostino non ha mai perso la dimensione poetica
del suo complessivo progetto espressivo: al fondo rimane il colore, così succoso e solenne, mentale e fisico ad un tempo, costruito
per il peculiare «peso specifico» che ne definisce lumana attrazione (il rosso, soprattutto, come nella pagina di Un vuoto
dietro, 2013; o in quella di Erbario armato, 2015; fino a diventare un colore mimetico, in uno degli ultimi fogli: Sopra
steli sottilissimi, 2016).
Riesce difficile separare il ciclo di «Exsiccata» dalla vita; assai spesso, Agostino ci ha chiesto di ribaltare le nostre
consuetudini e conoscenze – anche nello specifico della sua pittura. In molte di queste pagine il pittore utilizza elementi vegetali, naturali,
cui accosta i suoi segni, a volte, quasi a rifarne «il verso», più spesso per accompagnare un lento muoversi e morire
nello spazio di un elemento vegetale.
Troppo colto e intelligente, attento a misurarsi quotidianamente con la realtà – che non è mera materia,ma è anche
ideali, progetti, affetti, vita -, Ago muove la sua ricerca verso altre dimore: tutta la sequenza non entra nella categoria
della pittura «naturalistica», ma utilizza al contrario il segno naturale come se fosse un segno artistico.
La storia ci ha insegnato che il fiore reciso è simbolo della bellezza effimera; il pittore non cerca nel ramoscello
reale forme e figure da recuperare per un naturalismo pittorico che non gli appartiene; la pittura è arte colta, si
misura con la storia, con la vita anche, ma soprattutto con quella riflessione che parte dalla realtà ma non si appiattisce
mai su quella. Sa bene, Agostino, che ogni segno entra in una storia. Allora il disseccarsi del ramo, del fiore,
di un filo derba non è che la sofferta constatazione della nostra precarietà, che sospinge
quella nostra capacità – lo diceva Rilke – di calarsi con larte nella vita e «lasciare che questa terra provvisoria e
caduca si imprima nel nostro animo in maniera così dolorosa e appassionata».
Viene tutto questo e molto di più dagli ultimi straordinari fogli, dalle sofferte pagine di un grande pittore che ci ha
di recente lasciato; cosciente, predisponendo il segno di un addio, ad un tempo un canto allarte e alla vita, che è tale
anche quando sta essiccandosi, spegnendosi lentamente, come i fiori di un acquerello che ha il dolce sapore del
commiato. Lucido e poetico, un ossimoro che appartiene a chi ha la capacità, di dentro, di riversare lanima con
intelligenza, quasi con tenerezza, nelle proprie opere, e con limmutata meraviglia interiore per quel fluire incontenibile
che regala al mondo lunica, reale e profonda, comunicazione degli spiriti.
Mauro Corradini, 2016