Perrini e la ricerca del luogo chiuso
Pittura & Pittura, Salone Vanvitelliano, Brescia

Non espone spesso nella sua città; poi di colpo, in due distinte e assai distanti occasioni, ecco Agostino Perrini: la prima mostra, con Giuseppe De Vincenti, nel Salone di Palazzo della Loggia; la seconda, ai Monaci sotto le Stelle in concomitanza con la presentazione del volume di poesie del padre Matteo.
Diciamo subito che le due mostre evidenziano la riflessione che l’artista è venuto compiendo nell’ultimo triennio di lavoro, e che la mostra ai Monaci, sui luoghi chiusi (orti o porti, poco importa) non è collegata ai testi poetici del padre; le opere affiancano i testi, costituiscono per l’artista una testimonianza, un omaggio, un affetto esplicitato.
L’ossimoro e la contraddizione appaiono come i caratteri dell’ultimo triennio di lavoro di Perrini; la sua produzione su carta evidenzia un assillo, una sorta di ricerca che guida la mano su differenti e sovente contrastanti percorsi: da un lato il desiderio di liberare la mano dall’educazione ricevuta (scuola, accademia, mestiere); dall’altro il desiderio di dare una forma conclusa all’idea, fermare l’immagine su iconografie che rinviino al reale (non alla mimesi, tuttavia); ed infine nella libertà del gesto, nella certezza del mestiere, depositare sulla carta, il supporto privilegiato dall’autore, materiali diversi (dal ramoscello alla cenere), per dar forza al segno e al sogno.
Il percorso di Perrini, contraddizione nella contraddizione, si manifesta attraverso la ricerca di un luogo chiuso, la sicurezza dell’antico hortus, e l’apertura al soffio di vento, consentire alla mano di non avere vincoli; e sulle libertà ritrovate, inserire la vita, il rametto di arbusto spinoso, la casa di cenere con i suoi ghirigori che hanno il profilo dell’animo. Ad un tempo costruito con costanza e coerenza, irrealtà e immaginazione, equilibri e dismisure, l’immagine di Perrini si propone a noi con i suoi interni contrasti, le sottese speranze e le quotidiane complessità; con la sotterranea e un po' amara certezza dell’impossibilità di trovare il varco.
Maturatosi sulle esperienze del secondo dopoguerra veneziano, dove ha studiato, partito forse dalle inquietudini colorate di Santomaso, ma solido nell’uso del colore che compare, sia pure con le cautele di un’età che non vuole smaglianti cromìe, il mondo di Perrini appare rasserenato specchio degli inevitabili turbamenti; come se, ad ogni tratto, in ogni spina (disegnata o reale), emergesse la necessità di restare con i piedi per terra e l’uguale e contrapposto bisogno di volare nella libertà di un segno che nel colore azzurro vorrebbe trovare, senza riuscirci, un meritato rasserenamento.
La pittura come lingua, come trascrizione di moti interiori, la pittura come espressione delle pulsioni dell’animo; con le inevitabili giravolte, i cambi d’umore, le disillusioni e le riaccese speranze; perché così è. Sperando che il vento cambi e ci riporti Peter Pan a ridar fiato ai viaggi verso l’isola (orto, porto, casa) che non c’è.

Mauro Corradini, 2008